L’Italia cambia rotta e classifica l’olio di CBD come stupefacente

I particolari della controversa mossa del governo e delle possibili ripercussioni sull’economia nazionale

Il CBD, sostanza non psicotropa e con potenziali benefici terapeutici, sta diventando uno stupefacente in Italia?

Questa sembra essere la direzione intrapresa dal recente decreto del governo italiano, una mossa che non solo va contro le direttive internazionali, ma che potrebbe anche scuotere un’industria in crescita che vale milioni.

Un cambio di direzione rispetto al trend degli ultimi 7 anni che, a partire dalla legge 242 del 2016, ci aveva abituati a una progressiva liberalizzazione dei prodotti a base di cannabidiolo. Lo abbiamo visto a partire dalla possibilità di commercializzare le infiorescenze di canapa legale fino alla legalizzazione dell’hashish in Italia, anche quest’ultimo, naturalmente, nella sua versione light, non psicotropa e acquistabile per usi ben specifici su e-commerce come Justbob, player nazionale che opera anche all’interno di altri Paesi europei.

 In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione improvvisa del governo e le sue potenziali ripercussioni sull’economia del Bel Paese.

Come il governo italiano ha deciso di limitare la commercializzazione di prodotti al CBD

In seguito a un recente decreto del governo, il panorama legale relativo al mercato della cannabis light in Italia è destinato a cambiare notevolmente. A partire dal 22 settembre 2023, sarà più difficile per i consumatori accedere a questi prodotti.

Non è la prima volta che il governo italiano cerca di intervenire in questo settore.

Infatti, Roberto Speranza, predecessore dell’attuale ministro della Salute Schillaci, aveva già tentato di introdurre restrizioni nel 2020, ma il suo decreto era stato messo in pausa. Questa sospensione era nata da una combinazione di proteste dal settore della canapa e dalla volontà dello stesso Speranza di riconsiderare la questione da una prospettiva più ampia. In particolare, si attendevano ulteriori valutazioni in merito all’interrogativo: gli effetti del cannabidiolo rimangono costanti indipendentemente dalla sua concentrazione?

Il recente intervento di Orazio Schillaci, per l’appunto l’attuale Ministro della Salute, ha segnato un cambiamento. Ha revocato la sospensione, posizionando ufficialmente il CBD nelle tabelle delle sostanze stupefacenti integrate nel DPR 309/90.

Di conseguenza, a partire dall’entrata in vigore del decreto, ovvero dal 22 settembre, i prodotti come l’olio di CBD, ufficialmente classificati tra quelli per uso orale, non potranno più essere commercializzati liberamente, ma solo a determinate condizioni.

Il CBD non è uno stupefacente, come affermano l’ONU e l’UE. Per questo la decisione italiana solleva molti interrogativi

Il significato pratico di questo decreto è chiaro: i prodotti per uso orale a base di CBD saranno considerati stupefacenti e quindi, per acquistarli, sarà necessaria una prescrizione medica e potranno essere reperibili solo in farmacia. Questa mossa regolamenta ulteriormente l’uso degli estratti di cannabis, limitando la loro applicazione nella preparazione di alimenti, come previsto dalle normative italiane ed europee.

Sebbene in Italia alcuni prodotti a base di CBD siano già disponibili in farmacia, molti altri, con concentrazioni inferiori sono facilmente reperibili in negozi specializzati. Una realtà che ben presto sarà nettamente modificata dalla norma in questione.

Insomma, se, come ormai certo, questo decreto venisse effettivamente implementato, l’Italia si distinguerà come una delle poche nazioni che classificano il CBD come uno stupefacente. Questo nonostante il fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia affermato che il cannabidiolo non ha proprietà psicotrope, e non rappresenta una sostanza a rischio di abuso.

In aggiunta, la stessa UE, tramite la sua Corte di Giustizia, ha già preso posizione contro la classificazione del CBD come narcotico e contro qualsiasi normativa nazionale volta alla limitazione della sua commercializzazione quando legittimamente prodotto in uno degli Stati membri.

Tradotto in parole semplici, se le cose non cambieranno le uniche aziende colpite da questa norma proibizionista saranno quelle italiane, mentre i business esteri presenti all’interno dell’UE, in Paesi nei quali la circolazione di prodotti al cannabidiolo è lecita, potranno continuare a fare affari liberamente.

Le conseguenze del decreto anti-CBD sull’economia italiana

Il recente decreto sul CBD in Italia si profila come una svolta che potrebbe avere ripercussioni economiche tangibili e profonde.

Al centro del dibattito c’è un mercato fiorente, che genera un fatturato annuo di 150 milioni di euro, e che vede coinvolti un mosaico di attori, dai negozi specializzati ai distributori online. Questo settore, in rapida espansione, rappresenta anche una fonte di occupazione per circa 10.000 persone.

Restringendo l’accesso ai prodotti a base di CBD, limitandoli solo alle farmacie e con la necessità di una prescrizione medica, il nuovo quadro normativo potrebbe indebolire questo ecosistema economico, favorendo il consolidamento delle grandi aziende farmaceutiche a scapito delle piccole e medie imprese che hanno investito e creduto in questo settore.

Inoltre, un contesto europeo dove Paesi vicini adottano approcci più aperti e progressisti, l’Italia potrebbe ritrovarsi in una posizione di svantaggio competitivo, perdendo una fetta preziosa di un mercato in crescita e l’opportunità di consolidarsi come leader in un settore emergente e innovativo.

In conclusione

La decisione del governo italiano di rivedere la classificazione e la commercializzazione dei prodotti al CBD non solo è in contrasto con le posizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Corte di Giustizia dell’UE, ma potrebbe anche rappresentare un’opportunità mancata per l’economia italiana. L’industria del CBD, con un fatturato annuo di 150 milioni di euro e 10.000 posti di lavoro, rappresenta una promettente frontiera di sviluppo economico e innovazione.

La nuova normativa potrebbe compromettere il suo potenziale, favorendo gli attori esteri e le grandi aziende farmaceutiche, mentre mette a rischio le piccole e medie imprese italiane. È cruciale per l’Italia ponderare attentamente le decisioni, assicurandosi che la normativa adottata sostenga effettivamente il benessere dei cittadini senza soffocare l’innovazione e la crescita economica.